La doppia diagnosi nelle dipendenze

La doppia diagnosi nelle dipendenze

Un confronto sul tema della pluridipendenza con Claudio Pederzani, coordinatore dell’equipe inglese del Centro San Nicola. È laureato in Psicologia dello sviluppo e della comunicazione presso l’Università Cattolica di Milano ed è specializzato nella psicoterapia basata sulla mindfulness come metodo di consapevolezza.

Cosa si intende per doppia diagnosi?

Nelle persone con un disturbo da uso di sostanze non è inusuale riscontrare anche la presenza di un disturbo psichiatrico di altra natura, come – per esempio – disturbo d’ansia generalizzata, disturbo depressivo, disturbo psicotico, disturbi di personalità. Ed è vero anche il contrario, ovvero che nelle persone con un disturbo psichiatrico è spesso presente anche un disturbo da uso di sostanze. Un documento del National Institute on Drug Abuse riporta che “6 persone su 10 che abusano di alcol e droghe hanno anche un disturbo mentale. Dal 25% al 60% delle persone che hanno un disturbo mentale hanno anche una dipendenza da sostanze”.

Questa specificazione può sembrare banale e scontata, ma ovviamente non lo è: in alcuni casi, infatti, il disturbo psichiatrico è la condizione su cui si sviluppa nel tempo un disturbo da uso di sostanze, utilizzate per far fronte al malessere derivante dalla condizione psichiatrica, in altri casi risulta invece indotto dall’abuso di sostanze. Talvolta può risultare molto complesso distinguere tra le due condizioni, ovvero sindromi psichiatriche indotte da sostanze e problemi di salute mentale preesistenti. Quel che è certo e su cui numerosi studi scientifici concordano, è che la comorbilità (ovvero la compresenza) dei disturbi da uso di sostanze con altri disturbi psichiatrici è molto frequente. Per concludere, la doppia diagnosi si ha ogniqualvolta sono contemporaneamente presenti queste due condizioni: un disturbo da uso di sostanze e un altro disturbo di natura psichiatrica.

In che modo si intreccia il metodo dei 12 passi mutuato da AA con il lavoro terapeutico svolto da voi psicologi?

Il metodo dei 12 passi è un approccio alla malattia della dipendenza che richiede, come presupposto ineliminabile alla cura, l’ammissione del proprio problema. Questo passaggio, affrontato nei gruppi dei 12 passi sin dall’inizio del percorso, è fondamentale poiché significa lavorare sulla negazione, processo psicologico molto spesso presente in un percorso di recupero da una dipendenza. Nei gruppi dei 12 passi si lavora molto anche sull’ammissione della propria impotenza sulla malattia, e sulla necessità di affidarsi a un potere superiore che, in termini psicologici, significa lavorare sulla richiesta di aiuto, passaggio terapeutico possibile solo nel momento in cui viene ammesso e riconosciuto il proprio problema.

Successivamente, il metodo dei 12 passi richiede di ammettere a sé stessi quanto accaduto durante gli anni della dipendenza attiva. Al Centro San Nicola lo si fa attraverso il lavoro di gruppo e sulla storia di vita, che è un passaggio utilizzato anche in alcuni approcci psicoterapeutici e attraverso il quale si esplorano i pattern emotivi e comportamentali che nel tempo si sono rivelati approcci inefficaci alla propria sofferenza.

Un altro passo fondamentale è quello che richiede alla persona di rimanere vigile su di sé, mantenendo uno sguardo onesto e pronto a riconoscere eventuali atteggiamenti e comportamenti disfunzionali. Nella pratica psicologica, questo viene raggiunto attraverso la mindfulness, che richiede alla persona di osservare, descrivere e partecipare in maniera non giudicante e rimanendo ancorata al presente i propri processi psicologici ed emotivi, con l’obiettivo di cambiare i comportamenti inefficaci con quelli efficaci.

Che effetti ha avuto la pandemia da Covid 19 sulle dipendenze?

La conseguenza più avversa del Covid 19 per le persone con una dipendenza patologica è stata sicuramente l’isolamento, che ha precluso i rapporti sociali spesso già fragili per queste persone. Il supporto sociale è fondamentale per una persona con difficoltà psicologiche, e la sua totale assenza nei mesi di lockdown ha ulteriormente contribuito al peggioramento della qualità di vita. Inoltre, il lavoro rappresenta per queste persone una distrazione da stimoli che possono innescare il craving, ovvero l’urgenza di assumere la sostanza, che si manifesta attraverso forti sensazioni fisiche che sembrano in quei momenti intollerabili se non si dispone delle strategie per gestirlo. Trascorrere intere giornate a casa, senza la possibilità di lavorare né avere contatti con altre persone, ha rappresentato una situazione di forte rischio, che in alcuni casi ha portato ad incrementare notevolmente l’abuso delle sostanze.

Approfondimento della NEWSLETTER DI Febbraio 2023