
Le sfide del Centro San Nicola
Il Centro San Nicola dal 2013 è diretto da Filippo Aliotta che ha raccolto il testimone nel solco familiare, con lo sguardo rivolto alle trasformazioni nel loro ambito di intervento.
A lui abbiamo chiesto di illustrare la situazione attuale del centro e le prospettive future.
Quali sono i numeri dei primi dieci anni del San Nicola?
In questo decennio abbiamo ospitato un migliaio di pazienti, circa duecento non di lingua italiana, con una stima del 70% di uomini e il 30% di donne. Le donne sono in misura nettamente minore perché, come ci spiegano le persone esperte del nostro team, fanno più fatica a chiedere aiuto. Nel primo semestre del 2022 abbiamo anche visto i primi effetti della ripresa dopo i diversi periodi di lookdown degli ultimi anni. Il 1° semestre 2022 è stato caratterizzato da un aumento degli ingressi, dei pazienti in trattamento, dall’indice di occupazione, dall’aumento degli utenti dimessi e della diminuzione delle interruzioni precoci dei percorsi di riabilitazione estensiva.
Cosa si impara dirigendo un rehab, parola ancora poco nota in Italia?
In generale si impara sempre osservando anche quello che fanno gli altri, nel nostro caso prendere il modello anglosassone è stato un successo perché i dati ci danno ragione.
In Italia andrebbe rivista complessivamente la cultura del ricovero, noi lo vediamo soprattutto nel confronto con i pazienti stranieri e ci rendiamo conto di quanto sia diverso l’approccio anche alla malattia stessa, tendenzialmente la persona straniera che arriva da noi ha superato la fase del giudizio, sa di essere malato e vuole guarire. In Italia si fa ancora fatica a capire la differenza fra alcolista e alcolizzato.

Quali sono le principali sfide per il futuro del Centro San Nicola?
Continuare a lavorare per migliorare il ricovero breve, con l’approccio che abbiamo da sempre ossia considerare la persona non tanto come dipendente che abusa ma interrogandoci sul perché abusa. Proseguire nella messa a punto della pratica psicoterapeutica che si ispira alla DBT ossia la terapia dialettico comportamentale, ma anche interagire maggiormente con la comunità scientifica italiana, soprattutto con i medici di base per far comprendere meglio che non si risolve con il ricovero.
La sfida più grande è anche quella di aprire una altra struttura, sempre in regime misto sia privato che in convenzione pubblica, per predisporre l’accoglienza per persone con problematiche che hanno maggiori necessità di tempo, ma sempre con l’idea che debbano tornare il più velocemente possibile a vivere inserite nel tessuto sociale.